INELEGGIBILITÀ E CONFLITTO D’INTERESSI

Luigi Spagnolo

«Non c’è nulla, nella Costituzione e nel sistema legale di questa Repubblica democratica e liberale, che getti il benché minimo dubbio sulla legittimità della formazione di questo governo e dell’incarico di presiederlo, conferitomi dal capo dello Stato».
Silvio Berlusconi, discorso al Senato, 16 maggio 1994
«Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?»
Dante Alighieri, Purgatorio 16.97
  
   La nostra Costituzione, secondo gli artt. 65 e 66, obbliga il Parlamento a valutare l’eleggibilità dei suoi membri in base alla legge ordinaria. L’art. 10 del DPR 361/1957 recita: «Non sono eleggibili […] coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica, che importino l'obbligo di adempimenti specifici, l'osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o la autorizzazione è sottoposta». La Giunta delle elezioni della Camera dei deputati, nel 1994, confermò l’elezione di Silvio Berlusconi (fondatore e azionista di maggioranza di Mediaset, società che controlla RTI, titolare delle concessioni televisive di Canale Cinque, Rete Quattro e Italia Uno) poiché la norma citata andrebbe riferita «alla concessione ad personam e quindi, se non c’è titolarità della persona fisica, non si pone alcun problema di eleggibilità, pur in presenza di eventuali partecipazioni azionarie». Nelle successive legislature, a partire da quella del 1996-2001 con una maggioranza di centrosinistra, fu ribadita l’eleggibilità di Berlusconi.

   L’interpretazione di cui sopra è contraria allo spirito e alla lettera della legge. Se infatti Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset, ne è il rappresentante legale, a chi si riferisce il sintagma «in proprio»? L’azionista di maggioranza è colui che gode del diritto di proprietà e trae i profitti dalle attività dell’azienda. Inoltre la Giunta, nella sua motivazione, introduce il concetto di titolarità del contratto, che non figura nella legge: l’essere «vincolati con lo Stato» non dipende solo dalla rappresentanza legale, ma anche dai vincoli conseguenti alla proprietà. Si noti che le concessioni televisive sono date all’azienda, non alla persona fisica: dunque il vincolo con lo Stato consiste nella proprietà o nella direzione dell’azienda concessionaria. Che poi in proprio valga ‘in proprio nome’, con curiosa ellissi del sostantivo, è interpretazione chiaramente confutata dai primi due significati della locuzione (GRADIT): «non essendo alle dipendenze di nessuno» e «di proprietà personale»; la terza accezione, di basso uso, «personalmente, di persona», è limitata all’espressione rispondere in proprio di qualcosa, in cui è sottintesa l’idea del mettere a rischio le proprie sostanze nell’assumersi una responsabilità. Infine, stabilire che il proprietario può essere eletto se nomina un rappresentante è un sillogismo non autorizzato dalla lettera della legge, volta invece a evitare il conflitto di interessi del concessionario pubblico.

   La prima versione di questo articolo, in vigore dal 1877 fino all’Assemblea Costituente, era: «non sono eleggibili coloro i quali siano personalmente vincolati verso lo Stato per concessioni o per contratti di opere o somministrazioni». Il legislatore aggiunse la figura del rappresentante legale per far sì che non solo il proprietario, ma anche il delegato risultasse ineleggibile; peraltro la soppressione dell’avverbio non consente un’esegesi troppo restrittiva, data la maggiore estensione del concetto di vincolo giuridico.

   La Giunta delle elezioni della Costituente, il 17 settembre del 1946, discusse il caso dell’ingegner Guglielmo Visocchi, eletto deputato nonostante beneficiasse di concessioni idriche e minerarie. Si veda, in particolare, il seguente passaggio: «Quanto alla Società Anonima Mineraria Melfa […] l’ingegnere Visocchi non dichiara di agire quale rappresentante o quale promotore della società, ma parla in nome proprio ed allude alla società come alla intestataria del permesso di sfruttamento; cioè come alla titolare formale di un affare sostanzialmente suo. In ogni modo questi molteplici rapporti di concessioni statali in cui l’ingegnere Visocchi entra, o in una veste o in un’altra, dimostrano quanto siano estesi gli interessi | personali del Visocchi, in contrasto con quelli dello Stato; e come quindi le ragioni di ineleggibilità non sorgano da un fatto occasionale, ma da tutta una situazione vasta e permanente». L’elezione di Visocchi fu annullata il 6 febbraio 1947.

   Il Consiglio d’Europa, con la risoluzione 1387 del 2004, ha invitato il Parlamento italiano ad «approvare urgentemente una legge che risolva il conflitto di interesse fra la proprietà e controllo delle aziende e la carica di ufficio pubblico e che comprenda le pene per i casi dove c’è un conflitto di interesse con la carica di ufficio pubblico a livello elevato». L’Italia è già dotata di tale legge, ma il Parlamento non l’ha applicata, facendo credere ai cittadini italiani ed europei che vi fosse un vuoto legislativo. Di qui il monstrum giuridico della legge Frattini (215/2004), che non accenna nemmeno una volta alle concessioni statali, ma si premura di precisare, a scanso di equivoci: «I titolari di cariche di governo, nell’esercizio delle loro funzioni, si dedicano esclusivamente alla cura degli interessi pubblici e si astengono dal porre in essere atti e dal partecipare a deliberazioni collegiali in situazione di conflitto d'interessi».

   Una domanda sorge spontanea: perché, durante la campagna elettorale del 1994, il centrosinistra non sostenne pubblicamente l’ineleggibilità del proprietario di Mediaset? Potremmo azzardare una risposta: che sull’altare di una governabilità altalenante e quindi prevedibile (Berlusconi-Prodi-Berlusconi-Prodi-Berlusconi ecc.), si sia sacrificato il principio fondamentale della separazione tra politica e affari personali.

   Il 28 febbraio 2002, parlando alla Camera, Luciano Violante, ex magistrato, confessò apertamente il patto scellerato con cui, nel disprezzo della legge, l’Italia era stata consegnata nelle mani del Cavaliere: «Onorevole Anedda, la invito a consultare l’onorevole Berlusconi perché lui sa per certo che gli è stata data la garanzia piena – non adesso, nel 1994, quando ci fu il cambio di Governo – che non sarebbero state toccate le televisioni. Lo sa lui e lo sa l’onorevole Letta. […] Voi ci avete accusato di regime nonostante non avessimo fatto il conflitto di interessi, avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni […] Durante i governi di centrosinistra il fatturato di Mediaset è aumentato di 25 volte».

   A chiarire le divisioni interne allo schieramento di centrosinistra, illuminante risulta l’articolo pubblicato su «la Repubblica» il 6 febbraio del 2001 (p. 4):

ROMA - Berlusconi? «Ineleggibile. Lo stabilisce già la legge». Massimo D’Alema all’attacco del leader del Polo. Dai microfoni di Radio Radicale il presidente ds accusa il Cavaliere di «aver aggirato il codice» che regola le concessioni pubbliche, e spiega che qualunque legge sul conflitto di interessi «non sanerebbe» la situazione. Non resta a questo punto, secondo l’ex premier, che una conclusione: il leader del Polo non può fare il presidente del Consiglio. […] Tutto ruota attorno ad una legge del '57 che per gli amministratori pubblici stabilisce il divieto di possedere concessioni pubbliche. «Se uno vuol fare il sindaco - ha spiegato ieri D'Alema al microfono di Radio Radicale - non può avere l'appalto per la nettezza urbana, sarebbe un reato». Lo stesso principio deve valere per Berlusconi, titolare di concessioni dello Stato per le sue tv. Ma il controllo formale non è passato nelle mani di Fedele Confalonieri? Secondo D’Alema è stata semplicemente aggirata la legge, il leader della Casa delle Libertà è stato eletto perchè «nel ’94, ha ottenuto che la giunta delle elezioni, a maggioranza di centrodestra, stabilisse che il titolare della concessione pubblica fosse Confalonieri, con una scelta che fa sorridere».
   
   Su questa posizione, espressa peraltro in seguito al fallimento della Bicamerale e dell’accordo con Berlusconi, D’Alema si ritrovò isolato all’interno del partito e attaccato da quanti avevano chiesto l’applicazione della legge del ’57 fin dal 1996 (in particolare, Sylos Labini).