La nostra Costituzione, secondo gli artt. 65 e 66, obbliga il Parlamento
a valutare l’eleggibilità dei suoi membri in base alla legge ordinaria.
L’art. 10 del DPR 361/1957 recita: «
Non sono eleggibili
[…] coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali
di società o di imprese private
risultino vincolati con lo Stato
per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni
amministrative di
notevole entità economica, che importino l'obbligo
di adempimenti specifici, l'osservanza di norme generali o particolari protettive
del pubblico interesse, alle quali la concessione o la autorizzazione è sottoposta».
La Giunta delle elezioni della
Camera dei deputati, nel 1994, confermò l’elezione di Silvio Berlusconi
(fondatore e azionista di maggioranza di Mediaset, società che controlla RTI, titolare
delle concessioni televisive di Canale Cinque, Rete Quattro e Italia Uno) poiché
la norma citata andrebbe riferita «alla concessione
ad personam e quindi,
se non c’è titolarità della persona fisica, non si pone alcun problema di eleggibilità,
pur in presenza di eventuali partecipazioni azionarie». Nelle successive legislature,
a partire da quella del 1996-2001 con una maggioranza di centrosinistra, fu ribadita
l’eleggibilità di Berlusconi.
L’interpretazione di cui sopra è contraria allo spirito e alla lettera
della legge. Se infatti Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset, ne è il rappresentante
legale, a chi si riferisce il sintagma «in proprio»? L’azionista di maggioranza
è colui che gode del diritto di proprietà e trae i profitti dalle attività dell’azienda.
Inoltre la Giunta, nella sua motivazione, introduce il concetto di titolarità del
contratto, che non figura nella legge: l’essere «vincolati con lo Stato» non dipende
solo dalla rappresentanza legale, ma anche dai vincoli conseguenti alla proprietà.
Si noti che le concessioni televisive sono date all’azienda, non alla persona fisica:
dunque il vincolo con lo Stato consiste nella proprietà o nella direzione dell’azienda
concessionaria. Che poi
in proprio valga ‘in proprio nome’, con curiosa
ellissi del sostantivo, è interpretazione chiaramente confutata dai primi due significati
della locuzione (GRADIT): «non essendo alle dipendenze di nessuno» e «di proprietà
personale»; la terza accezione, di basso uso, «personalmente, di persona», è limitata
all’espressione
rispondere in proprio di qualcosa, in cui è sottintesa
l’idea del mettere a rischio le proprie sostanze nell’assumersi una responsabilità.
Infine, stabilire che il proprietario può essere eletto se nomina un rappresentante
è un sillogismo non autorizzato dalla lettera della legge, volta invece a evitare
il conflitto di interessi del concessionario pubblico.
La prima versione di questo articolo, in vigore dal 1877 fino all’Assemblea
Costituente, era: «non sono eleggibili coloro i quali siano personalmente vincolati
verso lo Stato per concessioni o per contratti di opere o somministrazioni». Il
legislatore aggiunse la figura del rappresentante legale per far sì che non solo
il proprietario, ma anche il delegato risultasse ineleggibile; peraltro la soppressione
dell’avverbio non consente un’esegesi troppo restrittiva, data la maggiore estensione
del concetto di vincolo giuridico.
La Giunta delle elezioni della Costituente, il 17 settembre del 1946,
discusse il
caso dell’ingegner
Guglielmo Visocchi, eletto deputato nonostante beneficiasse di concessioni
idriche e minerarie. Si veda, in particolare, il seguente passaggio: «Quanto alla
Società Anonima Mineraria Melfa […] l’ingegnere Visocchi non dichiara di agire quale
rappresentante o quale promotore della società, ma parla in nome proprio ed allude
alla società come alla intestataria del permesso di sfruttamento; cioè come alla
titolare formale di un affare sostanzialmente suo. In ogni modo questi
molteplici rapporti di concessioni statali in cui l’ingegnere Visocchi entra, o
in una veste o in un’altra, dimostrano quanto siano estesi gli interessi | personali
del Visocchi, in contrasto con quelli dello Stato; e come quindi le ragioni di ineleggibilità
non sorgano da un fatto occasionale, ma da tutta una situazione vasta e permanente».
L’elezione di Visocchi fu annullata il 6 febbraio 1947.
Il Consiglio d’Europa, con la risoluzione 1387 del 2004, ha invitato
il Parlamento italiano ad «
approvare urgentemente una legge che risolva il conflitto
di interesse fra la proprietà e controllo delle aziende e la carica di ufficio pubblico
e che comprenda le pene per i casi dove c’è un conflitto di interesse con la carica
di ufficio pubblico a livello elevato». L’Italia è già dotata di tale legge, ma
il Parlamento non l’ha applicata, facendo credere ai cittadini italiani ed europei
che vi fosse un vuoto legislativo. Di qui il
monstrum giuridico della legge
Frattini (215/2004), che non accenna nemmeno una volta alle concessioni statali,
ma si premura di precisare, a scanso di equivoci: «I titolari di cariche di governo,
nell’esercizio delle loro funzioni, si dedicano esclusivamente alla cura degli interessi
pubblici e si astengono dal porre in essere atti e dal partecipare a deliberazioni
collegiali in situazione di conflitto d'interessi».
Una domanda sorge spontanea: perché, durante la campagna elettorale
del 1994, il centrosinistra non sostenne pubblicamente l’ineleggibilità del proprietario
di Mediaset? Potremmo azzardare una risposta: che sull’altare di una governabilità
altalenante e quindi prevedibile (Berlusconi-Prodi-Berlusconi-Prodi-Berlusconi ecc.),
si sia sacrificato il principio fondamentale della separazione tra politica e affari
personali.
Il 28 febbraio 2002, parlando alla Camera, Luciano Violante, ex magistrato,
confessò apertamente il patto scellerato con cui, nel disprezzo della legge, l’Italia
era stata consegnata nelle mani del Cavaliere: «Onorevole Anedda, la invito a consultare
l’onorevole Berlusconi perché lui sa per certo che gli è stata data la garanzia
piena – non adesso, nel 1994, quando ci fu il cambio di Governo – che non sarebbero
state toccate le televisioni. Lo sa lui e lo sa l’onorevole Letta. […] Voi ci avete
accusato di regime nonostante non avessimo fatto il conflitto di interessi,
avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni
[…] Durante i governi di centrosinistra il fatturato di Mediaset è aumentato di
25 volte».
A chiarire le divisioni interne allo schieramento di centrosinistra,
illuminante risulta l’articolo pubblicato su «la Repubblica» il 6 febbraio del 2001
(p. 4):